“Toto-Sindaco”


Il tormentone elettorale in vista della prossima sessione primaverile è il “Toto-Sindaco”, e ogni giorno sui quotidiani cartacei e online e sui social se ne aggiunge una mezza dozzina che sale alla ribalta.
Se si prosegue a questo ritmo alla fine l’elenco sarà come quello telefonico e prima o poi avremo più candidati sindaci che elettori.
Molti outsider si accontentano di aver lasciato un ricordo di sé nelle redazioni o nel popolo navigante, altri invece ci credono davvero e assumono posture esagerate e francamente comiche e altri ancora sono già ai blocchi di partenza, e c’è chi ha scritto sulla maglietta “Prima il programma!”.
Qualcuno deve avergli parlato di quel pippone illeggibile che bisogna depositare in allegato alla candidatura e lui si è stampato il memo sulla schiena.

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Non siamo in Cina, qui c’è un pulviscolo di Partiti nazionali e ciascuno di loro anche nei paesini più sperduti ha il suo bravo portabandiera che arruola parenti e amici.
Poi ci sono le liste, nascono dappertutto come la parietaria e per le ragioni più diverse, che vanno dal nazionalismo di frazione, di quartiere, di borgata e di condominio ai lampioni spenti, alle fognature che perdono, alle buche nelle strade per arrivare fino alla insostenibile privazione di un “qualcosa”, perduto o mai goduto fino a un istante prima e adesso d’improvviso diventato essenziale e indispensabile.
Ognuno deve avere il proprio programma che ne giustifichi l’esistenza e ogni programma deve per forza differenziarsi da tutti gli altri, non può essere un copia-incolla e neppure fare rinvio al programma altrui.

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Prendi Ventimiglia, chiamata alle urne nella prossima primavera, dove di sindaci ne fioriscono sei o sette alla settimana, tre o quattro sono di quelli che si limitano a crederci mentre un paio si sta già stirando la fascia e il sottopancia tricolore su misura.
Qui vota poco più della metà degli aventi diritto, si dividono in sedici i voti validi e una lista di Partito o civica deve ottenere sui quattro-cinquecento voti ogni consigliere eletto, ovviamente dopo aver attraversato le Forche Caudine dell’elezione diretta del Sindaco di riferimento che vinca.
A sinistra l’ultima volta, nel 2019 in concomitanza con le Elezioni Europee, di candidati Sindaco ce n’era uno solo con un unico programma e con varie liste di riferimento di micro-Partiti o movimenti e di specchietti civici per le allodole.
Stessa cosa a destra, ma con una differenza, la convergenza dei tre Partiti su un candidato Sindaco super partes.
L’attuale alluvione di candidature a Sindaco è sintomo del cambiamento politico in atto a livello nazionale, è come la febbre per la malattia.
Nei terminali provinciali e locali dei Partiti ci sono medici che prendono la malattia dal basso, tastando il polso alla gente e studiando un programma terapeutico adatto alla bisogna mentre dall’alto ci sono altri medici, tipo a destra “Forza Borneo”, che pensano soltanto a tagliare teste col bisturi e il programma lo lasciano fare agli altri perché loro intanto hanno stipulato patti parasociali in deroga con la concorrenza, tipo quello del Nazareno ai tempi di Renzi.

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Impossibile definire il quadro clinico della malattia chiamata “cambiamento”, anche perché per il Presidente ligure Toti è il nome del suo Partito, “Cambiamo”.
I voti presi alla Camera nell’uninominale il 25 settembre scorso non sono sicuramente il termometro adatto per misurare la febbre, si sono confusi e dispersi tra 12 candidati di liste in gran parte abborracciate sotto etichette goliardiche e di fantasia
Abbastanza rappresentativi, invece, sono i risultati al Senato che trasferiti ai sedici seggi del Consiglio comunale vedrebbero la sinistra spaccata, col PD e sue liste satelliti scendere da 6 a 3 seggi più, forse con i resti, un quarto seggio di “Azione” mentre gli altri 12 andrebbero 8 al centrodestra unito ripartiti tra le quattro sue componenti e 4 alle liste civiche, tipo quella Scullino che nel 2019 ottenne 2 seggi.
La situazione, vista così, dovrebbe rientrare nello schema normale dell’alternanza che nelle elezioni comunali ha la sua linea rossa nella elezione diretta del Sindaco e nel premio di maggioranza.
Invece no, in questo caso la malattia è come il diabete, silente e senza sintomi finché non compaiono tutti insieme, esiziali e irreversibili.

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Le carte non possono che sparigliarsi a destra, in quel “tre quarti” di Consiglio comunale che, per forza, deve esprimere il Sindaco sulla base di due variabili indipendenti, il programma (se vero o finto) e la squadra (se compatta o posticcia).
Oggi a Ventimiglia la partita, diciamocelo chiaramente, è tra giocatori e bari e il piatto piange perché seduti attorno al tavolo ci sono giocatori squattrinati che bluffano.
Loro i soldi se li sono giocati clandestinamente e li hanno persi su altri tavoli trescando col PD dal notaio, con “Azione” per costruirsi una passerella verso il terzo polo e con personaggi cangianti e ad assetto variabile, buoni per tutte le stagioni per traffici di sottogoverno.
Tano Scullino in tutto questo è stato fino a giugno scorso, ancora oggi e sempre, il croupier seduto al tavolo dello chemin-de-fer, che assiste i giocatori senza partecipare direttamente alla partita politica e a quella personale dei giocatori.
La sua unica preoccupazione è sempre stata quella delle carte dentro il sabot, metafora del programma concordato delle cose necessarie, promesse e da fare, evitando che siano false o segnate.
Cose che non piacciono ai bari.

Bruno Giri

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