Il meccanismo che avevo in mente, è, in realtà, molto più semplice. Il fatto che il mercato del Venerdi attiri ancora una certa quantità di francesi (quanti? 1.000? 2.000?) dovrebbe metterci in una posizione interessante rispetto al vero made in Italy. Andiamo da un’azienda italiana, gli diciamo che abbiamo una vetrina che garantisce 2.000-3.000 visite in una giornata e gli vendiamo lo spazio. La rappresentazione dei loro prodotti sarà, a sua volta, volano per il mercato, sarà ricchezza per la città.
Spiego meglio e sparo in alto: Caro Tods, so che produci scarpe italiane di qualità. Io posso metterti a disposizione una vetrina di 2.000 francesi a cui farle provare, a cui regalare gadget, a cui far fare le foto con le tue magnifiche modelle seminude. Vuoi venire? La gente verrà per vedere le scarpe italiane (quelle vere) e le modelle seminude (italiane, quelle vere).
Il Venerdì successivo scrivo a Ballestra: Caro Ballestra, so che produci miele italiano di qualità. Posso mettersi a disposizione una vetrina di 2.000 francesi a cui farlo provare, a cui regalare gadget, a cui far fare le foto con le tue magnifiche api (completamente nude). Vuoi venire? La gente verrà per assaggiare il miele italiano (quello vero) e per far la foto con le api (quelle vere, magari chiuse nell’apario). Io non ho mai visto un apario… e se non l’ho visto è colpa tua che non l’hai portato al mercato del Venerdì. Ecco.
Io penso al mercato del Venerdi come un evento, non come una lotta tra poveri neri inseguiti dalla polizia e ricchi cinesi che si spartiscono le nostre ricchezze.
23 febbraio 2014 – Albino Dicerto