Rileggendo il Manifesto di ieri mattina mi è tornato alla mente una vecchia teoria economica che ho sempre trovato affascinante. Ho poi fatto una breve ricerca su internet e ho trovato quest’intervista. La ripropongo.
Il significato originario del “modello” parte dalla constatazione che le prestazioni artistiche dal vivo (non, dunque, le riproduzioni, il cinema o la tv) sono inadatte alla applicazione di rilevanti mutamenti tecnici che aumentino la produttività. Un quartetto di Mozart, con un tempo di esecuzione di mezz’ ora, che nel XVIII secolo richiedeva due ore-persona di esecuzione, richiede esattamente la stessa quantità di tempo oggi. Nel frattempo in quasi tutte le attività economiche la produttività è cresciuta in maniera esponenziale, accumulando un enorme differenziale. Ma, poiché i salari del settore artistico sono correlati a quelli del resto dell’ economia, ne consegue che il costo per spettacolo nel settore artistico deve crescere continuamente ad un tasso più alto di quello rilevabile in tutti gli altri settori. E, quindi, che i fondi destinati alle arti dello spettacolo debbono crescere ogni anno ad un tasso eccedente il tasso d’ inflazione, se non si vuole che le attività artistiche, messe fuori mercato, scompaiano. “Il mio esempio favorito – dice – è che un’ ora di lavoro oggi produce cento volte più orologi che all’epoca di Mozart, ma un’ ora di arpeggio produce altrettanto Mozart di quando lui era vivo: ciò significa che un concerto di Mozart costa cento volte più orologi che a quell’epoca”. Quest’esempio, secondo Baumol, ci spiega per quale motivo, in un’epoca dove alcuni settori crescono rapidamente in ricchezza, i settori legati al mondo “pubblico” (sanità, educazione, trasporti,…) perdono, di giorno in giorno, i pezzi. In altre parole, tutti questi servizi sono soggetti a un aumento tremendamente rapido e persistente dei costi, non dovuto all’ inflazione ma al divario di produttività con i settori dinamici, che minaccia il precario bilancio delle famiglie, degli enti locali, dei governi centrali. Quando le difficoltà finanziarie divengono più pressanti è comprensibile che l’ impegno in questi settori venga ridimensionato o, nella migliore delle ipotesi, aumentato del minimo indispensabile per tener testa al tasso d’ inflazione. Ma, poiché i costi dei “servizi stagnanti” sono destinati a salire in modo persistente e cumulativo più rapidamente del tasso d’ inflazione, la conseguenza è la caduta qualitativa e quantitativa dell’ offerta.
Cosa fare secondo Baumol?
Le difficoltà che i sistemi fiscali incontrano ovunque minacciano ormai la qualità della vita e suggeriscono l’impressione che servizi d’importanza vitale finiscano per trovarsi al di là della portata della maggior parte della popolazione, ad eccezione delle famiglie più facoltose. Eppure dobbiamo imparare a capire che ci possiamo permettere il costo di queste attività. La produttività generale dell’ economia è, infatti, in continua crescita e basta trasferire piccole quantità delle risorse utilizzate per produrre beni a produttività crescente nel campo della produzione dei ‘ servizi stagnanti’ per avere più cure sanitarie, più istruzione, più assistenza agli indigenti. Inoltre anche nei ‘ servizi stagnanti’ si verifica, pur sempre, un certo incremento di produttività che deve essere ricercato e perseguito. Ad esempio, per tornare alla parabola del quartetto di Mozart: quando egli andò a suonarlo a Francoforte sul Meno gli ci vollero da Vienna sei faticosissimi giorni di viaggio, oggi basta un’ ora di aereo. Quindi il progresso tecnico ha effettivamente ridotto le ore di lavoro necessarie per fornire il prodotto in questione. E questo è vero anche in altri settori, ad esempio le analisi cliniche. Non esiste servizio la cui produttività, investendo i mezzi necessari, non possa essere in qualche misura incentivata. Per concludere, per raggiungere una maggiore abbondanza di beni, ma anche di servizi, la società deve semplicemente modificare le proporzioni del reddito da dedicare ai diversi prodotti. L’ idea che i consumatori non possano permettersi di far fronte ai costi crescenti dell’ istruzione, della sanità e di altri servizi è un mero “abbaglio fiscale”. La gente dice, a volte, che il paese non dispone di abbastanza denaro per far fronte alla crescente tragedia delle aree urbane. Questo non corrisponde a verità: il paese ha denaro in abbondanza. Bisogna solo vedere come gli americani decidono di spenderlo.
Insomma, chi deve prendere le decisioni, che le prenda. Senza troppe scuse. Il fallimento (o il successo) di una comunità, così come il fallimento di un’azienda, passa necessariamente da chi governa tale comunità (o azienda).
20 agosto 2013 – Albino Dicerto