Arrivo un pò tardi con questo post ma Peppino Impastato è stato uno degli eroi della mia gioventù e aspettare un anno per parlarne mi sarebbe dispiaciuto. Mi perdonerà, non era sicuramente persona da formalizzarsi per queste sciocchezze. Quel 9 maggio del ’78 in cui Peppino venne ucciso dalla mafia, l’Italia si accingeva a celebrare i funerali di Aldo Moro. Peppino era il simbolo dei giovani Siciliani che non volevano arrendersi al controllo della mafia sul territorio. Dalla sua Radio Aut denunciava con dovizia di particolari la mafia. La tradizione vuole che da casa sua a casa dello zio mafioso ci fossero esattamente 100 passi. Che questo giovane ometto non intendeva cedere la sua città ai trafficanti di droga. Che aveva perso la sua famiglia ed ogni affetto più caro per essere un “diverso”. Che questo giovane ometto diceva la verità, la sua verità certamente, ma con dovizia di particolari. Poteva, appunto, persino contare i passi che dividevano casa sua dalla mafia, sapeva esattamente dov’era, cos’era, com’era. Non amava instillare dubbi ma certezze nelle persone che lo ascoltavano. Era una persona piuttosto schiva che non accettava consigli ne’ compromessi. Che, alla fine, quel 9 maggio, morì ammazzato dalla mafia. Peppino ci ha insegnato, con i suoi 30 anni, che la lotta alla mafia è una questione seria, che tutte le volte che la prendiamo come un gioco o che riteniamo di sfruttarla per raggranellare consensi o raggiungere obiettivi personali, commettiamo un crimine verso tutti coloro che hanno perso la vita per migliorare questo mondo.
13 maggio 2013 – Albino Dicerto