La gogna vista dalla procura (1) : storia di Piero Tony – di Claudio Cerasa –

Pubblico , senza alcun commento , nella convinzione che quanto riportato in questa interessante intervista ad un magistrato italiano, non sia altro se non la testimonianza molto semplice e drammaticamente vera di come si facciano le indagini nel nostro Paese . Per fortuna la stragrande maggioranza dei componenti la magistratura italiana sono persone serie ed affidabili , dotate di grande professionalità , senso del dovere ed abnegazione, ma purtroppo , come in tutti i settori , qualche situazione anomala c’è . Abbiate la pazienza di leggere fino in fondo ( pubblico la lunga  intervista in due parti ) : chi di voi lettori non è ostaggio di pregiudizi , saprà cogliere la gravità di quanto in essa contenuto….

A Prato c’è un procuratore da urlo (e di sinistra) che ha scelto di andare in pensione in anticipo per protestare contro gli scandali della giustizia. Intercettazioni, giornalisti, bignè.

Prato. Le intercettazioni. Il processo mediatico. La gogna. La vergogna. La giustizia politicizzata. Le correnti. La custodia cautelare. Il bignè. Il Csm. Il governo. Il rapporto con i giornalisti. Le persecuzioni. I trattamenti speciali. I poteri dei magistrati. Il copia incolla dei giudici. E ovviamente il caso Ruby (con una vicenda). Ma prima di arrivare qui, prima di arrivare alla ciccia, al succo del discorso, bisogna partire dall’inizio. Dal perché. Dal motivo vero. Dalla ragione della scelta. Un magistrato di sinistra con trent’anni di esperienza che va in pensione con due anni di anticipo rispetto alla tabella di marcia per lanciare un messaggio, per dare un segno, per protestare contro una giustizia che troppe volte dimostra di essere ingiusta, che troppo spesso dimostra di essere eccessivamente politicizzata e che troppo spesso sembra essere incapace di autoriformarsi e di imboccare una giusta direzione. Siamo andati a Prato e abbiamo trovato una storia da urlo. Una storia che riguarda il procuratore capo di questa città e che mette insieme tutto. Il garantismo. Il processo. Le intercettazioni. I giornali. Il circo mediatico. Si comincia da qui, e Piero Tony, il protagonista di questa storia, lo dice tutto d’un fiato. Il perché. Il motivo vero.

Dice Piero Tony: “La verità è che non era più possibile, che non resistevo, che non potevo continuare, che era una situazione surreale, che vedevo troppe cose che non avrei voluto vedere e che tra stare ancora due anni qui, in mezzo a tutto questo, e andare invece via, facendo un po’ di chiasso, riprendendomi la mia vita e lanciando un messaggio, la seconda era l’unica cosa da fare. Nessun dubbio, l’unica. Perché in Italia, lo sanno anche i bambini, il processo non è più un semplice processo ma è una gogna, a volte una vergogna, e chi ha coscienza del suo lavoro sa come funziona, sa i giochi che si fanno con gli imputati e sa come si usano le intercettazioni, le carte, gli spifferi, le indagini, gli arresti. Beh, io dico no. E lo dico da sinistra. Lo dico da militante di una corrente di sinistra. Lo dico dopo aver girato mezza Italia. E lo dico dopo trent’anni di carriera. La giustizia, purtroppo, in Italia non sempre funziona come dovrebbe funzionare. Sarebbe bello, sarebbe un sogno, dire che è solo un problema di riforme, di scelte del governo, di leggi fatte e di leggi non fatte. C’è anche quello, sì, ma il problema è nostro, prima di tutto, e fino a quando non cambieremo noi non sarà possibile cambiare nulla”.

Lui si chiama Piero Tony, è nato a Zara il 3 giugno 1941, entra in magistratura nel 1969, a 28 anni diventa giudice istruttore a Milano, a trent’anni si iscrive a Magistratura democratica, per undici anni lavora a Venezia come giudice minorile, nel 1984 si è trasferito a Firenze e nel 1991 arriva alla procura generale del capoluogo toscano. Dove diventa famoso, dove, creando scandalo, comincia a teorizzare che il magistrato deve interessarsi più alla giustizia che all’accusa, e dove, durante il processo d’Appello per i delitti del mostro di Firenze, parlando dai banchi dell’accusa, finisce sulle prime pagine di tutti i giornali per via della sua requisitoria di cinque ore con cui smonta punto per punto la sentenza di primo grado emessa dalla Corte di Assise su Pietro Pacciani. Così: “Mi pesa chiedere ciò che mi appresto a chiedere di fronte a un imputato che concentra in sé, con o senza colpa, perché sicuramente non avrà scelto lui la culla in cui nascere, buona parte del peggio della natura umana. Perché violento e pericoloso, perché bugiardo, sordido, prevaricatore, spregevole, lubrico. Il verbale di dibattimento è costituito da ottanta fascicoli, però di polpa non ce n’è poi tanta”. Era il 1996, anni dopo Pacciani venne assolto, passano i mesi, gli anni, Piero Tony nel 2006 arriva a Prato e otto anni dopo, con due anni di anticipo rispetto al previsto, decide di farsi da parte. Di dare un segnale. E smetterla di avere a che fare con una giustizia ingiusta.

La notizia del pensionamento anticipato di Piero Tony la offre in anteprima un giornale locale, il Tirreno, due settimane fa, e tra un detto e un non detto si capisce che il procuratore di Prato è un tipo che non aspetta altro di parlare, di spiegare, di raccontare, di ragionare. E’ così? Contattiamo Tony via email. Gli chiediamo un incontro. Il procuratore ci pensa qualche giorno e alla fine decide di riceverci. A Prato, in Toscana, venti minuti di treno da Firenze. Un vecchio palazzone a un chilometro e mezzo dalla stazione. Molti pini marittimi. Molti faldoni accatastati. Molti funzionari con pantaloncino corto, calzino bianco tirato su fino al ginocchio, camicie a quadri con le maniche arrotolate. Lunghi silenzi. Rumori di porte schiaffeggiate dal vento. Piero Tony è qui, al terzo piano della procura, al suo penultimo giorno di lavoro, e ha voglia di parlare. Di giustizia. Di intercettazioni. Di governo. Di riforme. Di processo. Di correnti. Di politica. E di un dettaglio importante che riguarda un’inchiesta pesante: Ruby. Il procuratore ci fa accomodare nel suo studio, tra una bustona ripiena di libri, una scatola con molti ricordi, un paio di faldoni con inchieste da definire, e accetta di rispondere alle nostre provocazioni. Lo guardi, lo studi, lo ascolti e capisci che nelle parole di Piero Tony c’è la voce di tutti quei magistrati che in tutti questi anni hanno osservato con frustrazione la trasformazione dei processi che regolano la giustizia italiana. I diritti della difesa calpestati, l’esplosione della gogna mediatica, la violazione sistematica della privacy, i mostruosi poteri concessi all’accusa, la progressiva politicizzazione delle procure. Piero Tony fissa negli occhi l’interlocutore, si dondola sulla sedia e inizia a parlare. Si comincia da qui”.

( segue parte 2 )  

da ” Il Foglio ” sabato 19 luglio 2014 – Erin  Brockovich –

 

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