Abbiamo fatto una semplice ricerca per cercare di dare una semplice risposta alla domanda: in quale caso la preposizione a è necessario trasformarla in ad? oppure, in quale caso la congiunzione e è necessario trasformarla in ed? Ecco la famosa questione della d eufonica, cioè di quella d che viene aggiunta alla preposizione a trasformandola in ad e alla congiunzione e trasformandola in ed quando sono seguite da parola che comincia per vocale. Lo scopo è di rendere il suono più gradevole: eufonica vuol dire, infatti, che dà un buon suono (dal greco eu phonè). Così a altri diventa ad altri, e era diventa ed era, a un certo punto diventa ad un certo punto, e ogni volta diventa ed ogni volta. Riportiamo di seguito l’esito della nostra ricerca e restiamo in attesa che qualche cultore della lingua italiana ci dica qualcosa di più.
“C’è stato un lungo e tormentato dibattito sulla d eufonica, e fino a una cinquantina d’anni fa essa sembrò prevalere. Poi ha perso terreno. Ora, la conclusione generalmente condivisa è questa: eliminiamo la d eufonica quando la a o la e sono seguite da parola che cominci per una vocale diversa. Per esempio, diciamo e scriviamo a osservare, non ad osservare; e anche, non ed anche. Eccezione, ormai imposta dall’uso, ad esempio, non a esempio. Quando invece a ed e sono seguite da parola iniziante per la stessa vocale, la d eufonica può, anzi deve essere mantenuta. Esempi: ed entrò, non e entrò; ad aspettare, non a aspettare.
Queste sono le norme generalmente stabilite dalle redazioni dei giornali e delle case editrici. Resta il fatto che se a qualcuno la d eufonica piacesse a tal punto da usarla anche tra vocali diverse, come in ad osservare, ed anche, nessuno potrà impedirglielo accusandolo di violentare la lingua. Anzi, questa potrà tutt’al più essere considerata una ricercatezza.”
11 aprile 2013 – Ventimigliablog