N. 00126/2013REG.PROV.COLL.
N. 03195/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3195 del 2012, proposto da Giovanni Bosio,Giovanni Allavena, Francesco Verrando, Rocco Fonti, Stefano Raimondo, Emilio Rossi, Marco Laganà, Marco Mutascio, Franco Biamonti, Giovanna Borelli, Alesandro Perri, rappresentati e difesi
dagli avv. Giovanni Bormioli, Piergiuseppe Genna, Mariano Protto, con domicilio eletto presso gli avv.ti Mariano Protto e Giovanni Corbyons in Roma, via Maria Cristina, n. 2;
contro
– il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Interno, costituitisi in giudizio, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale Dello Stato, con domicilio per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti di
Comune di Bordighera, U.T.G. – Prefettura di Imperia;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE I n. 01119/2012, resa tra le parti, concernente lo scioglimento del consiglio comunale del Comune di Bordighera e nomina di commissario ad acta;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministero dell’Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 novembre 2012 il Cons. Bruno Rosario Polito e uditi per le parti l’ avv. Bormioli e l’ avvocato dello Stato Dettori;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con d.P.R. del 24 marzo 2011, su proposta del Ministero dell’Interno e previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, era disposto, ai sensi dell’art. 143 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, lo scioglimento del Consiglio comunale di Bordighera e la nomina di una Commissione straordinaria per la gestione dell’ ente locale.
Avverso detto provvedimento proponeva ricorso avanti al T.A.R. per il Lazio l’arch. Giovanni Bosio, unitamente ad altri componenti dell’organo consiliare destinatario del provvedimento dissolutorio, assumendone l’illegittimità per articolati motivi di violazione di legge ed eccesso di potere in diversi profili.
Con sentenza n. 1119 del 2012 il T.A.R. adito respingeva il ricorso.
Avverso la pronunzia reiettiva i componenti del consiglio comunale ricorrenti in primo grado hanno interposto atto di appello, con il quale hanno confutato le conclusioni del primo giudice e reiterato i motivi di legittimità disattesi dal T.A.R.
La Presidenza del Consiglio dei Ministri ed il Ministro dell’interno, costituitisi in giudizio, hanno contrastato la domanda di annullamento e concluso per la conferma della sentenza impugnata.
Con ordinanza del 4629 del 2012 è stata disposta l’acquisizione di documenti rilevanti ai fini del decidere.
L’incombente è stato assolto il 26 settembre 2012.
In sede di note conclusive i ricorrenti hanno insistito nelle proprie tesi difensive.
All’udienza del 23 novembre 2012 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
2. L’appello è fondato.
2.1. La fattispecie all’esame del collegio presente aspetti di peculiarità
Il Prefetto della Provincia di Imperia – nel quadro della disciplina dettata dall’art. 143 del d.lgs. n. 267 a prevenzione di fenomeni di infiltrazione e di condizionamento mafioso o similare nei consigli comunali e provinciali – su delega del Ministro dell’ Interno disponeva la nomina di apposita commissione di indagine per l’accesso presso il Comune di Bordighera per esperire ogni opportuna verifica ai predetti fini.
Con atto del 18 gennaio 2011 il Prefetto – acquisita la relazione della Commissione di indagine, estesa ai diversi settori coinvolti dell’azione amministrativa degli organi del Comune concernenti i lavori pubblici, l’urbanistica, gli abusi edilizi, il rilascio di licenze comunali e di concessioni demaniali, i tributi locali e al’erogazione di contributi e benefici, previa ricognizione del quadro normativo di riferimento e delle direttive impartite dal Ministro dell’ Interno nella materia ed acquisito il parere del comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica, integrato con la partecipazione del Procuratore della Repubblica di S. Remo – esprimeva parere in merito all’insussistenza delle “condizioni previste dall’art. 143 del d.lgs. 267 del 2000 per procedere allo scioglimento del Consiglio comunale di Bordighera”.
In contrario alle conclusioni del Prefetto di Imperia, il Ministro dell’ Interno formulava proposta di scioglimento del Consiglio comunale di Bordighera cui faceva seguito il decreto del Presidente della Repubblica del 24 marzo 2011 su conforme deliberazione del Consiglio dei Ministri.
La relazione del Ministro, agli effetti della misura dissolutoria, dava particolare in rilievo al “diffuso clima di intimidazione cui soggiacciono sia gli organi di governo, che settori dell’apparato burocratico dell’ente”. Ai predetti effetti era assegnata “rilevanza centrale” alle intimidazioni nei confronti di due assessori da parte di membri di famiglie (Pellegrino e Barilaro) contigue alla criminalità organizzata, onde assecondare l’apertura di una sala giochi, nonché al rilevo assunto ai fini del favorevole esito del procedimento di un asserito appoggio da parte degli esponenti mafiosi in sede delle elezioni di rinnovo del consiglio comunale.
La proposta ministeriale sottolineava, inoltre, il ritardo nella chiusura di un locale notturno, di proprietà di persone che si riconoscono collegate alla suddette famiglie; la mancata costituzione in giudizio in procedimenti promossi contro l’ Amministrazione comunale; ed una non corretta gestione degli appalti pubblici nel periodo 2003/2007 ed a cavallo delle elezioni comunali del maggio 2007.
Ciò posto con i motivi terzo, quarto e quinto di appello, che per ragioni di ordine logico vanno preliminarmente esaminati, i ricorrenti censurano la misura di scioglimento dell’organo consiliare per la violazione dell’art. 143 del d.lgs. n. 267 del 2000, come sostituito dall’art. 2 comma 30, della legge n. 94 del 2009, nonché per eccesso di potere nei profili della contraddittorietà e del difetto di motivazione.
Quanto alla violazione dell’art. 143 gli appellanti valorizzano le modifiche introdotte dalla novella del 2009 all’ originaria formulazione della disposizione in esame.
Osserva al riguardo il Collegio che l’art. 143, nel testo originario, elevava a presupposto dello scioglimento del consiglio il riscontro di “elementi” che siano espressione di “collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata”, ovvero di “forme di condizionamento degli amministratori stessi”, tali da alterare la libertà di determinazione degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento o l’imparzialità dell’ Amministrazione comunale “nonché il regolare funzionamento dei servizi” ovvero” che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica”.
Il testo novellato ha previsto che detti elementi devono qualificarsi come “concreti, univoci e rilevanti”.
La modifica introdotta non fa recedere la ratio sottesa alla disposizione di offrire uno strumento di tutela avanzata in particolari situazioni ambientali nei confronti del controllo ed dell’ingerenza delle organizzazioni criminali sull’azione amministrativa degli enti locali, in presenza anche di situazioni estranee all’area propria dell’intervento penalistico o preventivo. Ciò nell’evidente consapevolezza della scarsa percepibilità, in tempi brevi, delle varie concrete forme di connessione o di contiguità – e dunque di condizionamento – fra organizzazioni criminali e sfera pubblica, e della necessità di evitare con immediatezza che l’amministrazione dell’ente locale rimanga permeabile all’influenza della criminalità organizzata.
Resta, quindi, ferma, come è stato osservato, la connotazione dell’ istituto nel vigente sistema normativo quale «misura di carattere straordinario» per fronteggiare «una emergenza straordinaria» (in termini, Corte costituzionale n. 103 del 19 marzo 1993, nell’escludere profili di incostituzionalità del previgente art. 15-bis della legge 19 marzo 1990, n. 55).
Il testo novellato introduce, tuttavia, un prudente bilanciamento fra la misura amministrativa di prevenzione che, pur non caratterizzandosi come sanzionatoria verso soggetti determinati, viene ad incidere sul consenso espresso dalla comunità locale nella scelta degli organi di essa rappresentativi.
A sostegno della misura di rigore, in contrario all’ordine argomentativo del T.A.R., non è quindi sufficiente un mero quadro indiziario fondato su “semplici elementi”, in base ai quali sia solo plausibile il potenziale collegamento o l’influenza dei sodalizi criminali verso gli amministratori comunali, con condizionamento delle loro scelte e ricaduta sul buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa, sul regolare funzionamento dei servizi e sulle stesse condizioni di sicurezza pubblica, dovendo detti elementi caratterizzarsi per concretezza, essere cioè assistiti da un obiettivo e documentato accertamento nella loro realtà storica; univocità, che sta a significare la loro direzione agli scopi che la misura di rigore è intesa a prevenire; rilevanza, che si caratterizza per l’idoneità all’effetto di compromettere il regolare svolgimento delle funzioni dell’ente locale.
In coerenza con il su riferito dato normativo si è mosso l’accertamento istruttorio del Prefetto territorialmente competente, con nomina di una commissione di indagine con accesso presso l’ente interessato.
Nelle premesse della relazione rassegnata al Ministro ai sensi dell’art. 143, comma 3, del d.lgs. n. 267 del 2000 il Prefetto ha posto in rilievo l’oggetto dell’accertamento stesso finalizzato alla verifica dell’ “esistenza di collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o alla sussistenza di rilevanti forme di condizionamento degli amministratori stessi” – con effetto sulla “compromissione della libera determinazione degli organi elettivi, del buon andamento o dell’imparzialità” dell’amministrazione e “del regolare funzionamento dei servizi” – nonché del “nesso causale (con) il riscontrato collegamento o condizionamento”
E’ stato altresì fatto richiamo alle direttive ministeriali impartite nella materia, nelle quali è tra l’altro posto in evidenza che l’infiltrazione da parte della criminalità di tipo mafioso o similare “deve aver determinato tanto una deviazione degli amministratori dal principio di legalità, quanto uno stato di inefficienza dell’attività amministrativa, quanto infine la disfunzione dei servizi”.
Ciò posto, si può anche escludere che le valutazioni rassegnate dal Prefetto a conclusione dell’attività istruttoria abbiano effetto vincolante rispetto alla proposta del Ministro di ogni eventuale misura dissolutoria del consiglio comunale. Invero l’atto del Ministro si pone come atto finale della fase amministrativa di ricognizione delle anzidette condizioni di disfunzione nella gestione dell’ ente, nel cui ambito l’attività di accertamento del Prefetto assume un non denegabile ruolo centrale ai sensi dei commi 2, 3 e 7 del citato art. 143. Ma si rende tuttavia necessario che il contrario avviso sia sostenuto da uno congruo corredo motivazionale che dia puntualmente atto, anche a mezzo di un supplemento di istruttoria, delle ragioni che rendono prevalente lo scioglimento del consiglio comunale con incidenza sul consenso a suo tempo espresso dall’elettorato.
Del resto lo stesso art. 143 più volte richiamato consente una graduazione delle misure di tutela del corretto svolgimento delle funzioni dell’ente locale ove gli elementi di condizionamento di cui al comma primo coinvolgano taluno degli organi di vertice dell’amministrazione ed anche singoli dipendenti.
I ricorrenti correttamente deducono che la proposta ministeriale non aggiunge ulteriori elementi motivazionali idonei a consentire il superamento delle risultanze istruttorie che, sul piano fattuale, avevano escluso l’esistenza dei presupposti per pervenire alla misura dissolutoria.
Gran parte del corredo motivazione del provvedimento impugnato si incentra sull’iniziativa intimidatoria nei confronti di due assessori da parte di appartenenti alla criminalità organizzata per il rilascio di un’autorizzazione all’apertura di una casa giochi. Tuttavia l’azione intimidatoria – i cui estremi sono stati peraltro esclusi in sede penale – non è di per sé espressione del condizionamento cui fa richiamo il primo comma dell’art. 143, tanto più ove si consideri che gli stessi assessori avevano espresso avviso contrario al rilascio di detta autorizzazione e la stessa non ha formato oggetto di provvedimento di segno positivo. Ciò fa recedere anche la circostanza di contorno di un ipotizzato favor nei confronti della locale famiglia malavitosa per un suo appoggio nelle ultime elezioni, non oggetto di puntuale riscontro in atti istruttori.
Sul punto occorre rilevare che – a differenza di altre misure di prevenzione, quali ad esempio quelle prefigurate dall’art. 4, comma 4, del d.lgs. n. 490 del 1994, a tutela del condizionamento delle imprese da parte della criminalità organizzata di tipo mafioso, per la cui adozione è sufficiente il mero tentativo di infiltrazione, se non il periculum della stessa – l’art. 143, comma 1, nel testo novellato dall’art. 2, comma 30, come innanzi posto in rilievo, richiede che detta situazione sia resa significativa da elementi “concreti, univoci e rilevanti” che assumano valenza tale da “determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi amministrativi e da compromettere l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali”, aspetto ultimo che riveste carattere essenziale ai fini dell’adozione della misura di scioglimento dell’organo rappresentativo della comunità locale.
La scelta del Legislatore che eleva la soglia di rilevanza della situazione ambientale cui possa ricondursi l’ ingerenza di cosche malavitose nell’esercizio delle funzioni dell’ente locale si correla all’incidenza della misura su organi scelti dall’elettorato, con effetto trasversale su tutti gli eletti ed azzeramento degli organi di rappresentanza politica.
L’esistenza sul piano di effettività e di attualità di una disfunzione ed alterazione indotta nella gestione dell’ente, con compromissione del buon andamento e dell’imparzialità dell’azione amministrativa, è esclusa nella relazione del Prefetto, con segnato riferimento alla famiglia Pellegrino (contigua alla criminalità organizzata calabrese ed alla quale viene riconosciuta posizione, egemone sul territorio) sulla base di una verifica estesa ai diversi settori del rilascio di licenze, dell’abusivismo edilizio e degli appalti pubblici. Per quanto riguarda tale ultimo aspetto la proposta ministeriale dà rilevo, in costanza dell’organo consiliare da ultimo eletto, ad un singolo caso di omesso riscontro del requisito di affidabilità morale che, se giustifica eventuali iniziative sanzionatorie dei confronti dell’autore dell’omissione, non può essere elevato da solo ad elemento sintomatico di una non corretta gestione delle risorse pubbliche con vantaggio per la criminalità organizzata. In ordine agli abusi edilizi perpetrati dalle famiglie Barilaro e Pellegrino la relazione prefettizia dà atto delle conseguenti segnalazioni all’autorità giudiziaria, di un’intervenuta condanna e della reiezione di domanda di condono edilizio. Ciò rende recessivo il rilievo dato in sede di proposta ministeriale alla mancata costituzione del Comune in giudizio per abusi edilizi che vedeva parte la locale famiglia
Ugualmente l’affermato ritardo nella chiusura di un locale notturno, la cui gestione si sostiene contigua alla famiglia Pellegrino (che l’ istante difesa riconduce al riparto di competenze – in relazione alle violazioni ascritte – fra il Questore ed il Sindaco, quale organo locale di polizia amministrativa, che è intervenuto, ai sensi del d.m. 5 agosto 2008, nel momento in cui si è accertato l’esercizio del meretricio nei locali) non supera la singolarità dell’episodio e non esprime un stato di precarietà, inefficienza e disfunzione dell’ente, frutto del condizionamento criminale, cui possa ricondursi la massima misura di rigore prevista dall’art. 143 del d.lgs. n. 267 del 2000.
In conclusione, a fronte dell’esito dell’attività istruttoria del Prefetto (che quale organo di vertice è preposto in ambito locale alla salvaguardia dei primari interessi inerenti alla sicurezza ed dell’ordine pubblico) e tenuto conto del ruolo centrale che nell’economia del procedimento regolamentato dall’art. 143 del d.lgs. n. 267 del 2000 riveste la verifica istruttoria ad esso demandata, si imponeva in sede di proposta ministeriale un più diffuso corredo motivazionale – al quale pervenirsi anche a mezzo di un eventuale supplemento di istruttoria – a dimostrazione della concreta, univoca e rilevante incidenza degli episodi ed elementi assunti sulla libera formazione della volontà degli organi elettivi, con l’effetto causale di una diffusa e trasversale compromissione del buon andamento e dell’imparzialità dell’azione amministrativa, che costituisce concorrente ed essenziale presupposto per l’adozione della massima misura di rigore nei confronti dell’ ente locale.
Per le considerazioni che precedono l’appello va accolto e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di primo grado e vanno annullati i provvedimenti con esso impugnato.
I particolari profili della controversia consentono la compensazione fra le parti di spese ed onorari per i due gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado ed annulla i provvedimenti con esso impugnati.
Spese compensate per i due gradi di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 novembre 2012 con l’intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Bruno Rosario Polito, Consigliere, Estensore
Angelica Dell’Utri, Consigliere
Roberto Capuzzi, Consigliere
Hadrian Simonetti, Consigliere
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 12/01/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)