Perché tutti i miei salmi finiscono in gloria, quella di Tano

Ieri pomeriggio una amica e coetanea mi chiedeva perché tutti i miei salmi finiscono in gloria, quella di Tano.
Insolente e scherzosa, ha voluto sapere se lui mi pagava per incensarlo oppure se si trattava di una mia “idea fissa”, la classica monomania senile che si manifesta sotto forma di una ostinazione ossessiva sistematizzata.
In effetti, esclusa la prima ipotesi, ironica e provocatoria, la seconda non ha più smesso di ronzarmi in testa.
Colpa dell’orticaria che esplode ogni volta che mi imbatto nella vittima di qualcuno che, per dirla con Einstein, “ha ricevuto solo per errore il cervello: un midollo spinale gli sarebbe più che sufficiente”.
E Tano è come il miele per le mosche, ne attira interi sciami.
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L’eruzione cutanea, devo premettere, scatta in me in automatico e non guarda al colore della pelle, non si ferma alle idee e neppure alla storia della vittima, è sufficiente il torto inflitto da uno al quale il cervello non serve, il malvagio intelligente non ce la fa a provocarla.
Fruttero e Lucentini ci sono andati giù pesanti, lo hanno chiamato cretino e alle sue gesta hanno dedicato monografie, io preferisco la definizione di Einstein che non offende nessuno e poi, oltre tutto, in me interviene subito un potente antidoto, mi passa appena prendo le parti della sua vittima.
Da giovane reagivo a tutto, non andavo troppo per il sottile e nelle mie autoradio sono transitate cassette, floppy MP3 e chiavette USB di ogni genere e colore, dagli Inti Illimani a Joan Baetz, dalle canzoni anarchiche agli inni falangisti, dalle ballate sovversive al Chè e all’Internazionale, l’inno proletario mondiale.
Poi in vecchiaia ho imparato a scartare le persone malvagie e a selezionare solo quelle, magari brave persone, però dotate di cervello superfluo e questo perchè le loro cazzate non avendo movente o giustificazione razionale colpiscono nel profondo la mente e il cuore.
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Dopo la premessa maggiore passo a quella minore, il torto inflitto a Tano.
Per capirlo serve il cantastorie sanremasco che racconta la battaglia navale dei “ventimigliusi” arrivati nel golfo di Sanremo, davanti a Santa Tecla.
Avevano scavato il tronco di un fico per farne un cannone e lo avevano riempito di polvere da sparo e chiodi.
Accesa la miccia il cannone era esploso a bordo squarciando lo scafo e mentre il barco colava a picco il capitano commentava: “Sacranun! Se sul nostro barco c’è tutto questo, chissà che disastro abbiamo fatto nel “paise” nemico!”.
Ecco, Tano è un “ventimigliuso” che vede le cose dal lato opposto del cannocchiale e la ciurmaglia carbonara che “ha ricevuto solo per errore il cervello” e che ha affondato il barco gli ha fatto un torto “ad personam”.
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La conclusione è sotto gli occhi di tutti, soprattutto delle persone normali, di quelle più semplici, dei non addetti ai lavori, di chi non si appassiona ai bla-bla-bla della amministrazione pubblica fai-da-te.
Ai loro occhi paralizzare la città per un intero anno è vandalismo, come quello notturno all’oasi del Nervia o in città con l’arredo urbano o quello di chi imbratta i muri e abbandona la rumenta dove capita.
Quelli che lo negano non lo fanno col cervello ma con altri organi diversi anche dal midollo spinale di Einstein, chi lo fa col fegato per rancore personale, chi lo fa con la pancia perché “tiene famiglia” e chi lo fa con altri organi, orifizi e protuberanze che non nomino ma che è facile intuire.
Ecco il sillogismo che mi spinge, a gratis, a prendere le parti di Tano, tutto lì.
Bruno Giri

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