Con la legge 18/2015, che entra in vigore oggi 19 marzo 2015, il Legislatore ha modificato alcune disposizioni contenute nella Legge n. 117/1988 (c.d. legge Vassalli). Prima di tale modifica, la formulazione della normativa previgente aveva comportato un numero ridotto di condanne per la mala giustizia, a causa del c.d. “filtro di ammissibilità” della richiesta risarcitoria, che era considerato un muro quasi invalicabile. Da oggi, invece, ciascun cittadino può rivolgersi ad un giudice per chiedere i danni “patrimoniali e non” provocati da un magistrato che “esercita con dolo o colpa grave la propria funzione” e agisce in “manifesta violazione delle legge”.
Iniziamo con il dire che la nuova normativa è “applicabile a tutti gli appartenenti alle magistrature ordinaria, amministrativa, contabile, militare e speciali, che esercitano l’attività giudiziaria indipendentemente dalla natura delle funzioni, nonché agli estranei che partecipano all’esercizio della funzione giudiziaria”. Molto importante è poi sottolineare come la responsabilità dei giudici rimane saldamente ancorata al principio di responsabilità indiretta: è sempre lo Stato, infatti, e non il magistrato, a dover risarcire i danni in caso di “mala giustizia”, rifacendosi poi, in un secondo tempo, lo Stato sul giudice responsabile (che può essere condannato a sua volta a risarcire lo Stato sino alla metà dello stipendio percepito). Quindi il cittadino che ritiene di aver subito un ingiusto danno non dovrà fare causa al magistrato ma dovrà agire, “entro tre anni dalla data del fatto che ha cagionato il danno”, esclusivamente nei confronti dello Stato italiano. Dopo i tre anni, si prescrive.
Tralasciando la dolosità, cosa deve compiere il magistrato per cadere nella responsabilità da “colpa grave”? La norma prevede che sia configurabile la colpa grave non solo di fronte all’affermazione di fatti inesistenti o alla negazione di fatti esistenti, ma anche nelle ipotesi di violazione manifesta della Legge italiana e del diritto comunitario e di travisamento delle prove e dei fatti. Sarà considerata “colpa grave” anche emettere un provvedimento cautelare (personale o reale) al di fuori dei casi ammessi dalla Legge o senza una motivazione.
Rimane, si ritiene giustamente, la clausola di salvaguardia che consente al magistrato di non essere considerato responsabile per l’attività di interpretazione della legge o di valutazione delle prove e dei fatti.
Vedremo come la nuova norma verrà concretamente utilizzata, sperando che sia applicata solo per dimostrare che la “legge è uguale per tutti” e non per fini prettamente strumentali, contro la magistratura . Resta comunque per i magistrati la garanzia che un’eventuale azione giudiziaria sarà decisa da un Giudice, come per ogni altro cittadino.
19 marzo 2015 – Marco Prestileo