Le società in house providing (come la Civitas) sono tutt’altro che ignote al nostro diritto amministrativo; sulla loro natura si è soffermata cospicua giurisprudenza del Consiglio di Stato (Sentenze n. 7636/04, 962/06, 1513/07, 2765/09, 5808/09, 709/10 e 1447/11), nonché della Corte dei Conti (Sentenza 546/13). Le loro caratteristiche sono state esaminate anche dalla Cassazione civile per accertare se il regime di responsabilità degli amministratori fosse disciplinato dal diritto societario o da quello erariale. Il quesito potrebbe non interessare se non fosse che le pronunzie in argomento permettono di fissare i dati necessari per comprendere la modalità di funzionamento di tali soggetti giuridici.
Vale dunque la pena seguire le argomentazioni in proposito svolte dalla giurisprudenza in materia (da ultimo Cass. 25/11/2013 n. 2623). La quale, per ritenere la responsabilità erariale degli amministratori (e non solo del socio pubblico che sia rimasto inerte, nonostante si fosse manifestata la loro responsabilità) muove dalla considerazione che il requisito del cosiddetto controllo analogo comporta che “l’ente pubblico partecipante abbia statutariamente il potere di dettare le linee strategiche e le scelte operative della società in house, i cui organi amministrativi vengono pertanto a trovarsi in posizione di vera e propria subordinazione gerarchica. L’espressione controllo non allude perciò in questo caso all’influenza dominante che il titolare della partecipazione maggioritaria (o totalitaria) è di regola in grado di esercitare sull’assemblea della società e, di riflesso, sulla scelta degli organi sociali; si tratta invece di un potere di comando direttamente esercitato sulla gestione dall’ente con modalità e con un’intensità non riconducibile ai diritti ed alle facoltà che normalmente spettano al socio (fosse pure un unico socio) in base alle regole dettate dal codice civile, e sino al punto che agli organi della società non resta affidata nessuna autonoma rilevante autonomia gestionale (in proposito anche Consiglio di Stato adunanza plenaria 3/3/2008 n. 1 e conforme giurisprudenza che ne è seguita)”. La società in house non è quindi un’entità “posta al di fuori dell’ente pubblico, il quale ne dispone come di una propria articolazione interna”. Essa costituisce quindi null’altro che “una longa manus della Pubblica Amministrazione, al punto che l’affidamento pubblico mediante in house contract neppure consente veramente di configurare un rapporto contrattuale intersoggettivo” (Corte Costituzionale n. 46/13). Sicché, “l’ente in house non può ritenersi terzo rispetto all’amministrazione controllante ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dell’amministrazione stessa” (Consiglio di Stato adunanza plenaria n. 1/2008, citata).
Dunque, la distinzione tra socio pubblico e società in house non si realizza in termini di alterità soggettiva, sicché il paradigma organizzativo non va desunto dal modello societario; al contrario, la società non ha un centro autonomo decisionale di cui sia possibile individuare un interesse suo proprio (Sentenza citata).
La Civitas non é quindi una comune società commerciale, nulla può fare il suo attuale legale rappresentante, TUTTO dipende dagli organi comunali.
18 luglio 2014 – Marco Prestileo