Bene, comincio con il racconto. Da prassi, mi arrivano in tre, a casa, alle 7.15. Li ho ringraziati per non essere atterrati con l’elicottero e i giubotti antiproiettile. Dopo i convenevoli iniziali, gli ho offerto un caffè mentre facevo colazione. Salto il momento imbarazzante in cui loro non sapevano cosa cercare e io non sapevo come aiutarli a trovare quello che non sapevamo di dover trovare. Un blog è una cosa che sta nell’etere, probabilmente lo sapevano già anche prima di venire. Se ti mandano, però, devi andare. Ma comunque, tralasciamo gli aspetti comici dell’accaduto. Ad un certo punto, uno dei tre mi si avvicina con fare paterno e mi dice: “senta, ma lei, in fondo che posto occupa nel partito?”. Io lo guardo con gli occhi ancora zuppi di sonno: “Quale partito, mi scusi? Io non ho mai avuto un partito…”. “Massì – mi incalzava – il partito con Scullino e Prestileo!”. Lo guardo stranito. “Vabbè, lei non occupa una posizione in un partito…la pagano quindi per scrivere sul blog!!?!?”. Passo mentalmente in rassegna i movimenti del mio conto corrente. “No, direi che non mi paga nessuno…”. “Ma senta, ma perché scrive su un blog allora?!” “Eh, quando vedo un comune che non funziona, semplicemente mi va di dirlo, e lo dico”. Questa volta mi guarda lui stranito. “Ma lei in che mondo vive!? Guardi che tutti i Comuni non funzionano!”. Rispondo, ormai piuttosto sveglio “E le sembra normale?”. Prende la via del corridoio e se ne va. Ecco. Il punto è questo caro concittadino poliziotto: è che ci hanno abituati alla normalità delle cose che non funzionano. Il cittadino è quello che deve versare alla data giusta imposte e tasse, di qualsiasi genere, e deve subire, possibilmente in silenzio, il non funzionamento di tutto quello che ha intorno e per il quale paga una marea – una marea! – di soldi. Caro poliziotto: sono un illuso. L’ho già spiegato alla Finanza, qualche anno fa, quando mi chiedeva per quale motivo lavorassi per 600 euro lordi al mese per Civitas: io vivo nella speranza che mio figlio (e il suo) non debbano necessariamente diventare degli immigrati, magari clandestini, per riuscire a mangiare un pezzo di pane. Vivo con la speranza che i nostri figli non debbano necessariamente guardarci con disprezzo e vergogna. Credo che lei possa condividere questa speranza.
Ma non era di questo che volevo parlare. Sentivo di dover finire il discorso lasciato a metà.
3 febbraio 2014 – Albino Dicerto