Quattro chiacchiere con Neemia

Come sta Dottor Neemia?

Festeggio quest’anno i miei primi 2.500 anni di pensione. Non posso lamentarmi.

Vengo subito ai motivi dell’intervista. Lei viene ricordato per aver avuto il coraggio di ricostruire le mura di Gerusalemme, praticamente da zero. Cose le fece scattare la voglia di imbarcarsi in quest’impresa?

Nel mese di Casleu dell’anno ventesimo, mentre ero nella cittadella di Susa, Canàni, uno dei miei fratelli, e alcuni altri uomini arrivarono dalla Giudea. Li interrogai riguardo ai Giudei che erano rimpatriati, superstiti della deportazione, e riguardo a Gerusalemme. Essi mi dissero: «I superstiti della deportazione sono là, nella provincia, in grande miseria e abbattimento; le mura di Gerusalemme restano piene di brecce e le sue porte consumate dal fuoco». Udite queste parole, mi sedetti e piansi; feci lutto per parecchi giorni, digiunando e pregando davanti al Dio del cielo. Io all’epoca ero somelier del re Artarserse, eravamo in ottimi rapporti.

E quindi?

Nel mese di Nisan dell’anno ventesimo del re Artaserse, appena il vino fu pronto davanti al re, io presi il vino e glielo versai. Ora io non ero mai stato triste in sua presenza. Perciò il re mi disse: «Perché hai l’aspetto triste? Eppure non sei malato; non può esser altro che un’afflizione del cuore». Allora io ebbi grande timore e dissi al re: «Viva il re per sempre! Come potrebbe il mio aspetto non esser triste quando la città dove sono i sepolcri dei miei padri è in rovina e le sue porte sono consumate dal fuoco?». Il re mi disse: «Che cosa domandi?». Allora io pregai il Dio del cielo, e poi risposi al re: «Se piace al re e se il tuo servo ha trovato grazia ai suoi occhi, mandami in Giudea, nella città dove sono i sepolcri dei miei padri, perché io possa ricostruirla». Il re, che aveva la regina seduta al suo fianco, mi disse: «Quanto durerà il tuo viaggio? Quando ritornerai?». Io gli indicai un termine di tempo. La cosa piacque al re; mi lasciò andare. Poi dissi: «Se piace al re, mi si diano le lettere per i governatori dell’Oltrefiume, perché mi lascino passare ed entrare in Giudea, e una lettera per Asaf, guardiano del parco del Re, perché mi dia il legname per costruire le porte della cittadella presso il tempio, per le mura della città e per la casa che io abiterò». Il Re mi diede le lettere perché la mano benefica del mio Dio era su di me.
Giunsi presso i governatori dell’Oltrefiume e diedi loro le lettere del re. Il re aveva mandato con me una scorta di capi dell’esercito e di cavalieri. Giunto a Gerusalemme, vi rimasi tre giorni. Poi mi alzai di notte e presi con me pochi uomini senza dir nulla ad alcuno di quello che Dio mi aveva messo in cuore di fare per Gerusalemme e senza aver altro giumento oltre quello che io cavalcavo. Mi spinsi verso la porta della Fonte e la piscina del re, ma non vi era posto per cui potesse passare il giumento che cavalcavo. Allora risalii di notte la valle, sempre osservando le mura; poi, rientrato per la porta della Valle, tornai a casa.
I magistrati non sapevano né dove io fossi andato né che cosa facessi. Fino a quel momento non avevo detto nulla né ai Giudei né ai sacerdoti, né ai notabili, né ai magistrati né ad alcuno di quelli che si occupavano dei lavori. Allora io dissi loro: «Voi vedete la miseria nella quale ci troviamo; Gerusalemme è in rovina e le sue porte sono consumate dal fuoco. Venite, ricostruiamo le mura di Gerusalemme e non saremo più insultati!». Narrai loro come la mano benefica del mio Dio era stata su di me e anche le parole che il re mi aveva dette. Quelli dissero: «Alziamoci e costruiamo!». E misero mano vigorosamente alla buona impresa.

Non fece tutto da solo quindi!

Nessun uomo può lavorare da solo. Anzi. E’ la comunità insieme che deve agire. Ricordo ad esempio che Eliasìb, pur essendo sommo sacerdote, con i suoi fratelli, anch’essi sacerdoti, si mise a costruire la porta delle Pecore; la consacrarono e vi misero i battenti; continuarono a costruire fino alla torre di Mea, che poi consacrarono, e fino alla torre di Cananeèl. Ma mi creda, devo ringraziare molti uomi: gli uomini di Gerico e Zaccùr figlio di Imrim, i figli di Senaà, Meremòt figlio di Uria, figlio di Akkoz; Mesullàm, figlio di Berechia figlio di Mesezabèel; accanto a loro lavorava alle riparazioni Zadòk figlio di Baana; insomma, non continuo l’elenco, ce ne sarebbero troppi. Quello che le posso dire è che lavoravano tutti, grandi e piccoli, sacerdoti o magistrati. Tutti.

Ma quando le popolazioni vicine videro il vostro lavoro, cosa pensarono?

Si arrabbiarano molto. Mi creda, la gente è molto più brava a criticare i successi degli altri che a tentare di costruirne di propri. Ricordo quando Sanballàt seppe che noi edificavamo le mura, si adirò, si indignò molto, si fece beffe dei Giudei e disse in presenza dei suoi fratelli e dei soldati di Samaria: «Che vogliono fare questi miserabili Giudei? Rifarsi le mura e farvi subito sacrifici? Vogliono finire in un giorno? Vogliono far rivivere pietre sepolte sotto mucchi di polvere e consumate dal fuoco?». Tobia l’Ammonita, che gli stava accanto, disse: «Edifichino pure! Se una volpe vi salta su, farà crollare il loro muro di pietra!».
Ma noi andavamo ricostruendo le mura che furono dappertutto portate fino a metà altezza; il popolo aveva preso a cuore il lavoro.

E poi? Racconti, racconti!

Quando Sanballàt, Tobia, gli Arabi, gli Ammoniti e gli Asdoditi seppero che la riparazione delle mura di Gerusalemme progrediva e che le brecce cominciavano a chiudersi, si adirarono molto e tutti assieme congiurarono di venire ad attaccare Gerusalemme e crearvi confusione.  Allora noi pregammo il nostro Dio e contro di loro mettemmo sentinelle di giorno e di notte per difenderci dai loro attacchi. Quelli di Giuda dicevano: «Le forze dei portatori vengono meno e le macerie sono molte; noi non potremo costruire le mura!».I nostri avversari dicevano: «Senza che s’accorgano di nulla, noi piomberemo in mezzo a loro, li uccideremo e faremo cessare i lavori». Poiché i Giudei che dimoravano vicino a loro vennero a riferirci dieci volte: «Da tutti i luoghi ai quali vi volgete, essi saranno contro di noi».

Insomma, stavate per cedere…

Nient’affatto!. Io, nelle parti sottostanti a ciascun posto oltre le mura, in luoghi scoperti, disposi il popolo per famiglie, con le loro spade, le loro lance, i loro archi. Dopo aver considerato la cosa, mi alzai e dissi ai notabili, ai magistrati e al resto del popolo: «Non li temete! Ricordatevi del Signore grande e tremendo; combattete per i vostri fratelli, per i vostri figli e le vostre figlie, per le vostre mogli e per le vostre case!». Quando i nostri nemici vennero a sapere che eravamo informati della cosa, Dio fece fallire il loro disegno e noi tutti tornammo alle mura, ognuno al suo lavoro.

Scampato pericolo quindi!

Non proprio. Da quel giorno la metà dei miei giovani lavorava e l’altra metà stava armata di lance, di scudi, di archi, di corazze; i capi erano dietro tutta la casa di Giuda. Quelli che costruivano le mura e quelli che portavano o caricavano i pesi, con una mano lavoravano e con l’altra tenevano la loro arma; tutti i costruttori, lavorando, portavano ciascuno la spada cinta ai fianchi. Il trombettiere stava accanto a me.Dissi allora ai notabili, ai magistrati e al resto del popolo: «L’opera è grande ed estesa e noi siamo sparsi sulle mura e distanti l’uno dall’altro. Dovunque udirete il suono della tromba, raccoglietevi presso di noi; il nostro Dio combatterà per noi». Così continuavamo i lavori, mentre la metà della mia gente teneva impugnata la lancia, dall’apparire dell’alba allo spuntar delle stelle. Anche in quell’occasione dissi al popolo: «Ognuno con il suo aiutante passi la notte dentro Gerusalemme, per far con noi la guardia durante la notte e riprendere il lavoro di giorno». Io poi, i miei fratelli, i miei servi e gli uomini di guardia che mi seguivano, non ci togliemmo mai le vesti; ognuno teneva l’arma a portata di mano.

E alla fine Gerusalemme fu di nuovo esattamente com’era previsto che fosse. Giusto?

Giustissimo. Una faticaccia ma ne è valsa la pena. Vada a farci un giro se le capita!

Gerusalemme però è Gerusalemme. Capisce bene che Ventimiglia è un caso disperato…

Nient’affatto! Avrebbe dovuto vedere che cumulo di macerie era la città dei miei padri. Mancavano le mura, mancavano le porte, non riuscivo a passare nemmeno con l’asino…capisce!?!? Nemmeno con l’asino!

Ma quindi cosa dovrebbe fare un buon amministratore secondo lei? I grillini hanno tante idee innovative, magari…
Non parliamo di innovazione. Il mio governo fece molto di più già 2500 anni fa. Da quando il re mi aveva stabilito governatore nel paese di Giuda, dal ventesimo anno fino al trentaduesimo anno del re Artaserse, durante dodici anni, né io né i miei fratelli mangiammo la provvista assegnata al governatore. I governatori che mi avevano preceduto, avevano gravato il popolo, ricevendone pane e vino, oltre a quaranta sicli d’argento; perfino i loro servi angariavano il popolo, ma io non ho fatto così, poiché ho avuto timore di Dio. Anzi ho messo mano ai lavori di queste mura e non abbiamo comperato alcun podere. Tutti i miei giovani erano raccolti là a lavorare. Avevo alla mia tavola centocinquanta uomini, Giudei e magistrati, oltre a quelli che venivano a noi dalle nazioni vicine. Quel che si preparava a mie spese – a mie spese – ogni giorno era un bue, sei capi scelti di bestiame minuto e cacciagione; ogni dieci giorni vino per tutti in abbondanza. Tuttavia non ho mai chiesto la provvista assegnata al governatore, perché il popolo era già gravato abbastanza a causa dei lavori. Vede, io non credo ne ai grillini ne’ a qualsiasi altro movimento o partito o religione o lo chiami come vuole. Un buon governatore deve avere fede, volontà, poche parole. Dev’essere uomo instancabile, lavorare con una mano mentre tiene stretta la spada per difendere il suo popolo dall’altra. Deve avere una visione davanti a se e seguirla.

Mi è tutto molto più chiaro ora sa?

Bene. Torno a riposare allora.

A presto!

A presto.

E se ne andò.

(liberamente adattato dal Libro di Neemia – Bibbia)

9 giugno 2013 – Albino Dicerto

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